i precedenti
Nel maggio 1961, in occasione dell'apertura della Galerie J a Parigi, Pierre Restany riunisce Arman, César, Dufrêne, Hains, Klein, Rotella, Spoerri e Villeglé in una mostra dal titolo: A 40º au dessus de DADA.
Nel titolo come nel testo di prefazione alla mostra c'è la chiara intenzione di confrontarsi e nell stesso tempo di verificare dopo quarant'anni il mito di Dada. Restany così scrive:
...André Breton aveva dapprima pensato di bloccare il suo destino (dada ndr.) annettendolo al surrealismo, ma la dinamite dell'anti-arte fece cilecca. Il mito del no integrale è vissuto nella clandestinità tra le due guerre per diventare, a partire dal 1945, con Michel Tapié, la garanzia di un'arte diversa. La negatività estetica assoluta si è mutata in dubbio metodico grazie al quale stavano per incarnarsi nuovi segni. Tabula rasa insieme necessaria e sufficiente, lo zero dada ha costituito il riferimento fenomenologico dell'astrattismo lirico: fu il grande taglio con la continuità della tradizione, attraverso il quale infranse l'ondata melmosa delle ricette e degli stili, dall'informale al nuagisme....
...Nel contesto attuale, i ready-made di Marcel Duchamp [...] assumono un senso nuovo. Traducono il diritto all'espressione diretta di tutto un settore organico dell'attività moderna, quello della città, della strada, della fabbrica, della produzione di serie. Questo battesimo artistico dell'oggetto d'uso costituisce ormai il "fatto dada" per eccellenza. Dopo il no e lo zero, ecco una terza posizione del mito: il gesto anti-arte di Marcel Duchamp si carica di positività. Lo spirito dada si identifica con un modo d’appropriazione della realtà esterna del mondo moderno. Il ready-made non è più il colmo della negatività o della polemica ma l'elemento base di un nuovo repertorio espressivo. Questo è il nouveau réalisme: un modo piuttosto diretto di mettere i piedi per terra, ma a quaranta gradi sopra lo zero dada e a quel livello in cui l'uomo, se giunge a reintegrarsi nel reale, lo identifica con la sua trascendenza che è emozione, sentimento e infine poesia, ancora... (1)
Il riferimento molto esplicito a dada, provoca una reazione negativa da parte d’alcuni membri del gruppo, in particolare Klein e Hains che temono che la presunta filiazione diretta del Nouveau Réalisme a Duchamp possa in qualche modo ridurre la loro operazione artistica a mera citazione ready-made, tanto da spingere gli stessi a dichiarare la propria dissociazione dal Nouveau Réalisme (dissociazione temporanea che non metterà fine alle attività collettive).
Klein capirà più tardi che la polemica in sé non aveva ragione d'esistere. L'affinità tra il suo procedimento creativo e l'approccio filosofico di Duchamp è puramente d’ordine morale, non materiale. Quando nel 1917 Duchamp espone provocatoriamente la sua Fountain, l'oggetto d’uso comune, in questo caso un orinatoio, è innalzato al rango d’opera d'arte; ciò per il fatto che qualsiasi oggetto, nel momento stesso in cui l'artista-inventore se ne assume la responsabilità morale, assume il diritto di essere riconosciuto come opera d'arte. |
Quando nell'aprile 1958, nella galleria Iris Clert a Parigi, Yves Klein mostra Le Vid (il vuoto) - una stanza completamente vuota, dipinta di bianco - vuole creare, superando i concetti tradizionali di percezione visiva, una zona di sensibilità pura, una ricerca dell'immateriale là dove i comuni mezzi d'espressione non sono più sufficienti compiendo un gesto che per sua natura rientra nella sfera della "moralità". Moralità non intesa nella normale accezzione linguistica, ma come "certificazione" della volontà creativa dell’artista.
In Klein come in Duchamp è nella questione della responsabilità morale che si verifica la liceità della pratica artistica, questa è la vera eredità dell'esperienza duchampiana che sottende il lavoro di Klein, con la differenza che in Klein il tipo d’approccio spirituale, quasi religioso, contribuisce ad innalzare sensibilmente il grado di valore della sua filosofia operativa.
...L'immateriale innalza l'idea del ready-made alla dimensione cosmica, in Klein come Duchamp l'arte si è trasferita nella morale, l'estetica nell'etica... (2) Se a Klein il riferimento a Duchamp era sembrato inopportuno, diversamente, altri componenti del gruppo trovavano nella lezione duchampiana l’ideale metro di confronto delle loro operazioni. In Arman, l'objet trouvé duchampiano non è più visto nella singolare accezione di gesto anti-arte per eccellenza, ma caricandosi di positività viene sottoposto ad un processo di ripetizione; l'oggetto in questione si replica in un numero infinito di volte, tante quante l'oggetto, nella sua morfologia, potenzialmente riesce ad esprimere. Uno scolabottiglie può essere ripetuto una, dieci, cento, mille volte e la nostra percezione analogamente varia con esso, il valore intrinseco dello stesso muta proporzionalmente con la ripetizione quantitativa e sistematica dell'accumulazione. Concettualmente sono più scolabottiglie mille scolabottiglie o un solo scolabottiglie? Anche Duchamp aveva in progetto di realizzare accumulazioni di cose simili come chiavi di legno per telai e spugne. ...l'idea essenziale è quella di aggiungere un oggetto all'altro fino ad arrivare a formare una massa critica, fino al momento che l'ultima aggiunta determina quello che Hegel chiama il passaggio dalla quantità alla qualità ... (3) È dimostrato che la ripetizione ossessiva di un immagine, anche la più importante e significativa, provoca uno svuotamento di valore della stessa, l'osservatore pone attenzione solo sugli aspetti esteriori di essa: linee, colori, corrispondenze formali, diventano più importanti dell'immagine che sottendono, così allo stesso modo ci si comporta di fronte ad un accumulazione di brocche, di macinacaffè o di penne biro d’ Arman; la seducente cromia, gli elementi funzionali (maniglie, fili elettrici, ecc.), i nuovi materiali industriali, diventano simili ai colori di una tavolozza, diventano i nuovi parametri estetici della nostra società. Anche César ripropone il concetto di ready-made duchampiano: nel 1960 in occasione del Salon de mai a Parigi, espone tre automobili compresse in tre parallelepipedi del peso di una tonnellata ciascuno, creando enorme scandalo tra i membri della giuria. A quaranta anni e con una brillante carriera di scultore alle spalle, César rischia di compromettere tutto con un gesto solo in apparenza ironico e provocatorio ma che contiene in sé un grande significato morale. César nella continua ricerca di materiali ferrosi per le sue sculture saldate, girovagando per tutti gli sfasciacarrozze della periferia parigina, rimase colpito un giorno dalla visione di un'enorme pressa di fabbricazione americana che riduceva in blocchi compatti qualsiasi tipo di rottame. César affascinato da questi blocchi ferrosi multicolori, ne scelse tre, quelli che a suo giudizio erano i più belli e prese la decisione di esporli al Salon. Duchamp prendendo un oggetto comune scelto in base della sensazione d’indifferenza che lo stesso gli dava, creava il ready-made. César sceglie un oggetto non solo "già fatto" ma pure "già utilizzato", gettato via come rifiuto ed infine riciclato. Lo sceglie, senza intervenire in alcun modo sulla struttura, in base al suo personale gusto. L'energia che si sprigiona da questi blocchi, la tensione quasi muscolare delle lamiere compresse che pare debbano esplodere da un momento all'altro, i freddi colori metallici, danno a questi parallelepipedi ferrosi una monumentalità di gran lunga superiore a molte sculture contemporanee più tradizionali. César assumendosi la responsabilità morale del gesto appropriativo fa sua "scultura" l'anonimo blocco di ferraglia, oggetto informe che, come l'araba fenice, muore e rinasce nelle sue infinite metamorfosi. |
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Note:
1.2. Pierre Restany, Nuovo Realismo, Prearo Ed. Milano 1973.
3. Arturo Schwarz, La Sposa messa a nudo in Marcel Duchamp, anche. Einaudi. Torino, 1974