Alain Jouffroy
Degradazione e oggettivazione dell'espressività (Raimond Hains, Jacques de la Villeglé, Rotella)
Jacques de la Villeglé racconta che nel gennaio 1947, passeggiando con Raymond Hains e osservando il ponte trasbordatore e i cantieri navali di Nantes, ebbero l’idea di fare un film per ricostruire il bello «spettacolo» del movimento delle gru, del rumore delle seghe elettriche e della «luce senz'ombra» dell'inverno sulla riva della Loira. Ma capirono presto che quel film avrebbe potuto tutt’al più «creare una sensazione equivalente, ma non identica» a quella che essi provavano nella realtà, poiché gli apporti della costruzione cinematografica «travestono l'essenza della sorpresa». E Villeglé aggiunse ciò che è essenziale per la comprensione del movimento europeo degli affichistes: «Mi apparve chiaro per la prima volta che la percezione diretta doveva essere ricercata e valorizzata a discapito del “fare” e delle arti della trasposizione». Se si pensa che Raymond Hains era stato fotografo (nel 1946 lavorava per France Illustration, e nel 1947 realizzò una serie di fotografie attraverso il vetro smerigliato), si comprende dunque che all’inizio egli volle realizzare con Villeglé film intitolati Loi du 29 Juillet e Saint-Germain-des-Pré-Colombien, dove dovevano apparire degli affiche lacerarti, in particolare quello che aveva attirato l’attenzione di Raymond Hains, nell’attuale locazione di «Supermag» in fondo a rue de Rennes, in cui l'occhio strappato di una donna lasciava intravedere le lettere del manifesto sottostante. Ma la decisione presa allora dai due amici, alla fine di quel 1949, di rubare i manifesti strappati per presentarli come opere d'arte, corrisponde assolutamente a quella volontà di ritrovare la percezione diretta, a discapito di ogni «trasposizione». Non bisogna dimenticare che a quell'epoca, un'astrazione violenta, espressiva, come quella di Hartung ad esempio, l'astrazione espressionista americana, sembravano il punto culminante dell'arte occidentale. Le lacerazioni dei manifesti suggerivano ferite cromatiche, «segni» di collera, che corrispondevano emozionalmente all'espressività dei pittori astratti, e addirittura sembravano più direttamente percepibili dei segni, sempre così preoccupati dello «stile», della pittura gestuale.
La degradazione dell'espressività - divenuta maniera e moda, con i creatori dell'astrazione lirica troppo in fretta imitati da innumerevoli seguaci - spiega dunque la nascita di questo tipo, tutto nuovo, di collage, o piuttosto, come lo definivano Man Ray e Léo Malet prima della guerra, di «dé-collage». Si trattava, per Hains e Villeglé, di scegliere i manifesti lacerati secondo il sistema della «percezione diretta», e di cercare di far percepire quella «lacerazione anonima» come un mezzo per superare l'espressionismo individuale, e anche - più tardi - l'automatismo del «dripping». Si dovette attendere tuttavia la prima Biennale de Paris, nel 1959, vale a dire esattamente dieci anni, perché le opere di Raymond Hains, di Villeglé (e di Dufrêne), malgrado la prima esposizione dei due promotori da Colette Allendy nel 1957, facessero comprendere che non si trattava di un'applicazione della teoria duchampiana del «ready-made», ma della conseguenza oggettiva della degradazione dell'espressività, e del suo rovesciamento in spettacolo della collera anonima.
Questo doppio aspetto: collera anonima dei passanti, del quale l’individuo si assume nuovamente la responsabilità attraverso il suo desiderio di valorizzarla, e riunificazione di arte e realtà urbana, conferisce il suo senso dialettico all'iniziativa dei primi due affichistes europei.
La cosa più strana, nella fattispecie, e contrariamente ai rimproveri che furono loro rivolti agli esordi, è che si finisce per distinguere con più facilità un affiche lacerato di Villeglé da un affiche lacerato di Hains, piuttosto che un quadro cubista di Picasso da un quadro cubista di Braque: come se la scelta fosse, in sé, più espressiva e più rivelatrice dell'individualità rispetto al «fare» e alla «spontaneità» dell'esecuzione. Penso in particolare agli affiches dei primi anni Sessanta, in cui la preoccupazione principale di Villeglé è di portare alla luce un linguaggio illeggibile (testi divenuti illeggibili a forza di lacerazioni, e che creano una sorta di ultra-linguaggio, al di là della pittura e della poesia), mentre per molto tempo quella di Hains (eccetto nella serie «La France déchirée» iniziata verso il 1955) è di mostrare la violenza astratta delle macchie e delle lacerazioni di manifesti sovrapposti, poi lacerati gli uni dopo gli altri con una sorta di meticolosa rabbia distruttrice.
Rotella, da parte sua, espose per la prima volta i suoi affiches lacerati all’Art Club di Roma nel 1954, ma incontrò gli affichistes francesi, Hains, Villeglé e Dufrêne, solo nel dicembre 1960, in occasione di un viaggio a Parigi. La maggior parte dei suoi affiches riguarda il cinema; benché i primi fra essi, anteriori al 1960 [1], fossero ugualmente astratti ma con dominanti cromatiche molto diverse da quelle di Raymond Hains, è piuttosto il carattere di «documento sociologico» dei manifesti che sembra averlo interessato in seguito. Ma la vivacità, la sontuosità, il carattere barocco del colore vi sono sempre marcati con più nitidezza che nelle realizzazioni degli affichistes francesi, spesso più scure, più discrete o più severe. Gli affiches di Rotella - realizzati sul tema di «Cine città» - catturano la bellezza della vita italiana più quotidiana, nella quale spesso il piacere di vedere e il piacere di vivere ancora si confondono e s’illuminano a vicenda. Da parte sua, con la serie di «La France déchirée», Raymond Hains ha mostrato con forza la realtà politica francese, in cui esplodono e si oppongono con vigore, attraverso l’affiche, tutte le contraddizioni, tutte le negazioni della negazione che si conoscano. Rotella, che si dedica a immagini meccaniche da quando ha abbandonato l’affiche lacerato, sembra rifugiarsi ora in una maggior freddezza. L’espressività e la sua degradazione, attraverso questa rottura essenziale che il movimento degli affichistes ha rappresentato, hanno dunque determinato in Francia e in Italia, con qualche anno di anticipo, le ricerche e le scelte estetiche dei creatori del Pop americano, dove conosciamo il ruolo considerevole che fu attribuito all’affiche cinematografica, alla pubblicità e al suo stile di presentazione-shock dell'immagine.
[1] Data di apertura della Galerie J a Parigi, dove ha avuto luogo la prima esposizione collettiva di Hains, Villeglé, Rotella e Dufrêne.
Alain Jouffroy, Les Affichistes: de la rage froide, in XXe siècle, n° 45, dicembre 1975, ripreso in Gli Affichistes tra Milano e Bretagna, a cura di Dominique Stella.
La degradazione dell'espressività - divenuta maniera e moda, con i creatori dell'astrazione lirica troppo in fretta imitati da innumerevoli seguaci - spiega dunque la nascita di questo tipo, tutto nuovo, di collage, o piuttosto, come lo definivano Man Ray e Léo Malet prima della guerra, di «dé-collage». Si trattava, per Hains e Villeglé, di scegliere i manifesti lacerati secondo il sistema della «percezione diretta», e di cercare di far percepire quella «lacerazione anonima» come un mezzo per superare l'espressionismo individuale, e anche - più tardi - l'automatismo del «dripping». Si dovette attendere tuttavia la prima Biennale de Paris, nel 1959, vale a dire esattamente dieci anni, perché le opere di Raymond Hains, di Villeglé (e di Dufrêne), malgrado la prima esposizione dei due promotori da Colette Allendy nel 1957, facessero comprendere che non si trattava di un'applicazione della teoria duchampiana del «ready-made», ma della conseguenza oggettiva della degradazione dell'espressività, e del suo rovesciamento in spettacolo della collera anonima.
Questo doppio aspetto: collera anonima dei passanti, del quale l’individuo si assume nuovamente la responsabilità attraverso il suo desiderio di valorizzarla, e riunificazione di arte e realtà urbana, conferisce il suo senso dialettico all'iniziativa dei primi due affichistes europei.
La cosa più strana, nella fattispecie, e contrariamente ai rimproveri che furono loro rivolti agli esordi, è che si finisce per distinguere con più facilità un affiche lacerato di Villeglé da un affiche lacerato di Hains, piuttosto che un quadro cubista di Picasso da un quadro cubista di Braque: come se la scelta fosse, in sé, più espressiva e più rivelatrice dell'individualità rispetto al «fare» e alla «spontaneità» dell'esecuzione. Penso in particolare agli affiches dei primi anni Sessanta, in cui la preoccupazione principale di Villeglé è di portare alla luce un linguaggio illeggibile (testi divenuti illeggibili a forza di lacerazioni, e che creano una sorta di ultra-linguaggio, al di là della pittura e della poesia), mentre per molto tempo quella di Hains (eccetto nella serie «La France déchirée» iniziata verso il 1955) è di mostrare la violenza astratta delle macchie e delle lacerazioni di manifesti sovrapposti, poi lacerati gli uni dopo gli altri con una sorta di meticolosa rabbia distruttrice.
Rotella, da parte sua, espose per la prima volta i suoi affiches lacerati all’Art Club di Roma nel 1954, ma incontrò gli affichistes francesi, Hains, Villeglé e Dufrêne, solo nel dicembre 1960, in occasione di un viaggio a Parigi. La maggior parte dei suoi affiches riguarda il cinema; benché i primi fra essi, anteriori al 1960 [1], fossero ugualmente astratti ma con dominanti cromatiche molto diverse da quelle di Raymond Hains, è piuttosto il carattere di «documento sociologico» dei manifesti che sembra averlo interessato in seguito. Ma la vivacità, la sontuosità, il carattere barocco del colore vi sono sempre marcati con più nitidezza che nelle realizzazioni degli affichistes francesi, spesso più scure, più discrete o più severe. Gli affiches di Rotella - realizzati sul tema di «Cine città» - catturano la bellezza della vita italiana più quotidiana, nella quale spesso il piacere di vedere e il piacere di vivere ancora si confondono e s’illuminano a vicenda. Da parte sua, con la serie di «La France déchirée», Raymond Hains ha mostrato con forza la realtà politica francese, in cui esplodono e si oppongono con vigore, attraverso l’affiche, tutte le contraddizioni, tutte le negazioni della negazione che si conoscano. Rotella, che si dedica a immagini meccaniche da quando ha abbandonato l’affiche lacerato, sembra rifugiarsi ora in una maggior freddezza. L’espressività e la sua degradazione, attraverso questa rottura essenziale che il movimento degli affichistes ha rappresentato, hanno dunque determinato in Francia e in Italia, con qualche anno di anticipo, le ricerche e le scelte estetiche dei creatori del Pop americano, dove conosciamo il ruolo considerevole che fu attribuito all’affiche cinematografica, alla pubblicità e al suo stile di presentazione-shock dell'immagine.
[1] Data di apertura della Galerie J a Parigi, dove ha avuto luogo la prima esposizione collettiva di Hains, Villeglé, Rotella e Dufrêne.
Alain Jouffroy, Les Affichistes: de la rage froide, in XXe siècle, n° 45, dicembre 1975, ripreso in Gli Affichistes tra Milano e Bretagna, a cura di Dominique Stella.